“Cosa avete voi americani?” Un amico della Nuova Zelanda mi ha detto un anno fa: “Perché siete così resistenti a prendere in considerazione il bene comune?” Lo stato di panico attuale, fomentato da alcuni politici, e dagli atti di violenza, mi ricorda quel giorno.
Per questo blog sulle conversazioni inclusive, affronto la pratica di inclusione per il nostro bene comune. Le conversazioni inclusive sono definite come quelle conversazioni in cui le differenze sono viste come una risorsa, non una minaccia.
Cosa è il “bene comune?” E un qualcosa che riguarda tutti gli esseri umani in quanto tali. In questo momento, il panorama politico è diventato polarizzato perché la paura sta alla guida. La paura ci fa dimenticare cosa abbiamo in comune. La gente ci incita a diffidare degli altri offrendo un’illusione di protezione. Se solo potessi vivere in una scatola e proteggere la mia scatola, starei al sicuro. Basta fare una scatola più grande, più forte e con meno persone intorno. Svegliatevi. E’ un’illusione. Abbiamo dimenticato che gli esseri umani non possono vivere in una scatola?
Siamo umani, non possiamo vivere senza comunità.
Photo Credit: Louis Waweru
Sono una consulente per le organizazioni, ma anche una praticante ed insegnante di Reiki. Il Reiki è energia che favorisce l’equilibrio, la guarigione e il rilassamento del corpo. Aiuta ad alleviare dolori, ansie, stress e depressione. Negli ultimi 14 anni, ho trattato col Reiki persone in cliniche psichiatriche – per il recupero dalla tossicodipendenza e dall’ AIDS – in case per senzatetto e privatamente. Ho trattato: assistenti sociali e dirigenti, persone senza fissa dimora e professionisti, persone con problemi di salute mentale e il recupero dalla tossicodipendenza, vecchi e giovani, ricchi e poveri, repubblicani, democratici, indipendenti, gente di destra, sinistra e centro, formalmente istruite e non, veterani e pacifisti, negli Stati Uniti, in Nuova Zelanda, Europa e Africa. La gente generalmente viene da me perché le fa male qualcosa e farebbero di tutto per farlo passare, anche se non credono nel Reiki. Il Reiki aiuta anche la guarigione emotiva e la pace interiore, ma la maggior parte delle persone non pensano a questo all’inizio. Vogliono solo che la loro testa, le loro ginocchia, la loro schiena, la loro sciatica smetta di far male. Praticare il Reiki mi ha insegnato il bene comune.
C’è una cosa che so che tutti gli esseri umani hanno in comune: il desiderio di connettersi ed essere visti, apprezzati e amati. Quando tengo le mie mani su qualcuno laddove sentono il dolore, a volte vedo immagini come fotografie memorizzate nel loro corpo. Le mie mani diventano una camera oscura che permette a queste immagini di venire alla luce. Spesso, quelle immagini sono momenti di separatezza e isolamento. Un uomo fermato dalla polizia ha paura che la sua famiglia non avrebbe nulla da mangiare se lo rinchiudessero. Una madre e figlia dopo una lite. La vergogna dell’aborto, 50 anni dopo. Un vecchio amico si allontana dopo un’incomprensione. Un’amante sorpreso con qualcun altro. La polizia bussa alla porta di un immigrato.
L’immagine più frequente che vedo è quella di un rifiuto. La persona si sente esclusa o non amata, perché sente di non appartenere: a volte sono persone schizofreniche o schizoaffettive, alcolizzati o che fanno abuso di droga, senza tetto o mentalmente vulnerabili, Neri o sudamericani. Hanno quattro dita dei piedi o tre capezzoli, sono troppo grassi o troppo magri.
Come sociologa, è palese per me che l’aumento delle sparatorie e degli attentati negli Stati Uniti e nel mondo è legato a questo maggiore senso di esclusione e di paura. Durkeim nel 1897 lo ha definito anomia, questa è una delle cause sociali del suicidio. Durkheim ha detto che quando le norme sociali cambiano molto in fretta, come spesso accade nel mondo post-industriale, alcuni si sentono particolarmente sconnessi dalla collettività e alienati dalle nuove norme sociali. Si uccidono per reagire. Credo che attualmente il senso di esclusione è così alto per alcuni come individui, per altri come gruppo, che molti sono disposti a uccidere se stessi e gli altri per porre fine al dolore che sentono. Quindi, per me, è chiaro che la crescente violenza nasce dal dolore creato dall’esclusione, qualunque sia il posizionamento politico. Le persone ferite feriscono.
E’ così facile odiare questo o quel politico, questa o quella persona. E’ molto più difficile amare e parlare con il vicino di casa o un membro della famiglia al di là di qualsiasi diversità di opinione. Avere una conversazione e rimanere aperti di mente e cuore. Quando ci chiudiamo, facciamo male a noi stessi e preserviamo il senso di isolamento nel nostro corpo che diventa dolore. Mentre ci sforziamo per trovare accordi e soluzioni di lungo termine, non dimentichiamo che il più grande antidoto alla violenza è l’amore, il contatto e la comunità. Soprattutto quando il contatto e l’apertura richiedono coraggio. Quando ci sentiamo amati, accettati e uniti in comunità, la salvaguardiamo. Quindi quello che facciamo per il bene comune lo facciamo anche per noi stessi.
Le nostre armi sono troppo avanzate per quanto immaturi siamo le nostre capacità di amare. Noi diciamo “Ti amo” o “Ti voglio bene” ma si trasforma troppo facilmente in odio. E’ più difficile amare quando abbiamo paura, rimanere amorevole e aperti quando siamo arrabbiati, quando siamo terrorizzati. Non abbiamo altra possibilità per sopravvivere come specie.
Photo credit: Louis Waweru
E se ognuno di noi cercasse di avere una conversazione oggi qualcuno che ha opinioni opposte dalle nostre? Accettare il punto di vista opposto e ascoltare cosa li ha fatti giungere a quella conclusione? Che cosa succede se lasciassimo stare l’illusione della paura e ci concentrassimo sul bene comune? Le società che prestano più attenzione al bene comune sono molto meno violente. Dobbiamo investire nel nostro bene comune. La nostra sopravvivenza come paese e come specie lo esige.